lunedì 15 ottobre 2007

Un verbale dell’assemblea tenuta durante la tre giorni

Comitato Spazio Pubblico
5 ottobre 2007

Scala spaziale
Il ragionamento intorno a uso e funzioni di piazza e parco (e su quanto accade in quei luoghi) deve necessariamente essere integrato in una visione più allargata. In primo luogo, si tratta di tenere presente – nelle azioni che si vogliono intraprendere per la ri-qualificazione di quell’area – quanto avviene nei lotti adiacenti e nell’intero quartiere. Ma accanto a questa attenzione che si mantiene ancora ad un livello fortemente locale, emerge la necessità, l’opportunità di pensare la piazza, il parco, il quartiere come luoghi della città, che possano vivere anche della circolazione di persone provenienti da “fuori”; pensare in questi termini `e una strategia per evitare la produzione di un immaginario che generi auto-reclusione e fa il paio con la proposta (che in qualche modo ribalta i termini della questione) di indirizzare l’interesse del comitato verso la “liberazione” di spazi pubblici in città, andando oltre la segregazione dei quartieri (pensiamo al richiamo alla biblioteca di Secondigliano o al parco Ventaglieri) partendo dalla produzione di una idea di vivibilità di quegli stessi spazi.
Uso
A questo proposito, emerge l’immagine di una piazza che sarebbe vivibile se fosse dotata di servizi e strutture che ne permettessero un uso quotidiano (con la possibilità di comprare un giornale e di leggerlo seduti su una panchina, di potere fermarsi a prendere un caffè o bere a una fontanella e così via) e, soprattutto, la rendessero fisicamente accessibile (si pensi ai mancati percorsi che avrebbero dovuto connettere il parco ai lotti). Accanto a questa visione di un posto abitato perchè fornito di servizi che, in qualche modo, diventano automaticamente (?) motivo per frequentarlo, viene sottolineato che l’abitudine ad abitare i luoghi si produce nella pratica: a
dire, sembra, che `e necessario assumere un atteggiamento attivo, intraprendere azioni che portino presenza in quei luoghi che sono abbandonati o male utilizzati, in modo da trasformarli, nell’immaginario diffuso, in posti fruibili: renderli pensabili – e perci`o riconoscibili – come luoghi di aggregazione, risorse; in questa direzione, per esempio, andava la vecchia proposta di ricolonizzazione del parco, affidando la gestione di alcune sue parti a gruppi già attivi (per esempio quelli dediti alle attività sportive), che ne potessero garantire un uso significativo. A questo punto, va ripresa anche l’idea che l’uso di questi spazi non debba essere limitato esclusivamente a fini ludicoricreativi, ma possa avere anche funzione economica: per esempio è stata lanciata l’idea tenere una fiera di usato e antiquariato.
Dimensione sociale
Questo potrebbe essere un modo per produrre valore in termini economici e sociali, in linea con la considerazione che gli spazi pubblici non sono indistinti, tutti uguali, ma ciascuno si essi ha una “qualità”, che è quella delle relazioni (e della vita) delle persone che li abitano. In questa ottica, allora, arriva l’invito a lavorare per superare le solitudini dei lotti e dei parchi: realtà che notoriamente non comunicano (le scuole, per esempio, possono svolgere il ruolo di territori in cui costruire occasioni di comunicazione anche tra adulti, tra i genitori di chi le frequenta). Non si tratta, dunque, di considerare solo una pratica dell’uso dello spazio, ma di occuparsi anche del valore sociale riconosciuto alle persone che lo abitano, ciò non scindere la politica “dei luoghi” dalla politica “delle persone”: andrebbe promossa localmente, allora, la crescita di coscienza dei diritti. In questi termini incide molto, nei luoghi in cui agiamo, il fatto di vivere una cittadinanza debole,l’essere periferia.
Cittadinanza (attiva)
Quello che però ci può far passare dall’essere periferia all’essere centro è il fatto che l’esperienza che stiamo conducendo – quella di raggruppare risorse e diversità che si muovono in una stessa direzione, senza avere mandatari – è non comune e può fornire un modello di intervento. Le giornate che abbiamo organizzato insieme, e l’esito che hanno avuto, dimostrano che le risorse che possiamo muovere, le nostre forze possono produrre trasformazioni effettive, oltre al ragionamento e all’analisi: la strada percorribile è quella secondo cui oltre gli studi dobbiamo individuare e realizzare azioni specifiche. Si osserva, d’altro canto, che questo passaggio all’azione è – allo stato attuale e forse naturalmente – quello di gruppi strutturati e questo ci richiama alla considerazione che troppo spesso per “partecipazione” al bene pubblico si
intende quella delle associazioni, di soggetti già forti: il tentativo, l’obiettivo con cui confrontarsi, dovrebbe essere quello di andare oltre questa logica.
Responsabilità
Allora, in questi termini, occorre capire quale carico, quali responsabilità assumersi in un processo inclusivo che possa produrre partecipazione diffusa: prima di rivendicare diritti, si tratta di assumersi doveri, che permettano poi di individuare e circostanziare la rivendicazione dei diritti stessi; sembra significativo, a questo proposito, rimandare all’invito a “prendersi carico di questi bambini che corrono e mostrano stupore perchè qui si discute...” e allo stesso tempo di proteggere quella situazione dai “bambini che stannodisturbando...”
Istituzioni
Questa istanza di cittadinanza attiva ci riporta immediatamente alla contraddizione – con cui dobbiamo confrontarci – tra la necessità di una interlocuzione con la parte istituzionale che non sia solo fondata sulla richiesta (ma che rientri in una logica di cooperazione effettiva ed efficace), da un lato, e i meccanismi burocratico-istituzionali che “bloccano” l’iniziativa delle persone (laddove questo blocco non sia il prodotto di malafede o malaffare), dall’altro. Ad un livello strettamente locale, sappiamo di potere partire dalla volontà espressa dalla municipalità di partecipare, come soggetto attivo, alle azioni concordate, a cominciare dalla costruzione di un calendario unico di attività territoriali.
Progetto urbanistico
Si solleva , però il problema dell’interlocuzione con un altro livello istituzionale, quello al quale chi stabilisce le direttive del piano di riqualificazione ascolta richieste e proposte per poi cestinarle, il livello al quale si elaborano (o meglio si dovrebbero elaborare) visioni urbanistiche del territorio
cittadino: un riferimento alla STU per l’area nord riporta a questo tema.
Reale/Immaginario
Considerazioni che ci richiamano alla complessa situazione in cui si sta operando, una complessità che coinvolge diversi livelli: un rimando al vissuto locale legato al consumo di droga (che potrebbe portare a interrogarci su come dovrebbe funzionare un Ser.T in questo posto) pure va nella stessa direzione. Questioni che ci servono a riportare l’attenzione tanto ai processi allargati che restano sullo sfondo, tanto a quello che viviamo quotidianamente noi e chi ci sta vicino, con la consapevolezza che la forza di questo gruppo di lavoro risiede nella possibilità di lavorare per la produzione di un immaginario che sia motore di trasformazioni e di esperienze coinvolgenti
che possano smuovere le coscienze, necessariamente, però, partendo dal chiedersi “come si fa a tradurre le emozioni in iniziative concrete?”

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